La Campania e il Jobs Act (che non c’è)

I risultati, a lungo termine, del Jobs Act iniziano a palesare un quadro non proprio fiorente, nonostante i numerosissimi proclami ed annunci a suo favore, senza dar conto a chi ha speso una vita per il mondo del lavoro. Il testa a testa è avvenuto, ed ha vinto il Governo, ad aver perso, invece, sono i lavoratori, il paese. Soprattutto in alcuni territori. È di ieri, infatti, la pubblicazione da parte dell’Osservatorio sul precariato in merito al primo semestre 2016, l’istantanea dell’Inps è ben che fatta: in Campania, il Jobs Act ha fallito, con fragore.

Vediamo un po’ di numeri. Sono circa 75mila le unità assunte a tempo indeterminato, contro i 79mila, invece, licenziate. Un gap di 4000 persone, padri, madri e giovani che hanno perso il proprio lavoro. Un disastro che potrebbe avere grosse ripercussioni sociali. Ad andare controtendenza e a registrare una crescita sono le tipologie contrattuali che si volevano abolire – “usciremo con il Jobs Act da questa jungla contrattuale” dicevano -, ma poi, come per magia, ce li ritroviamo comunque nella tanto acclamata riforma del lavoro: gli apprendistato, i tempo determinati ed infine, non di certo per importanza, i tanto famigerati voucher. Ulteriore neo è la riduzione del 30% di trasformazioni dal tempo determinato all’indeterminato. Tutto ciò a scapito di chi? Domanda retorica, ovviamente.

C’è, però, un vero vincitore in questo marasma fatto di numeri: i voucher. Senza dubbio sono i veri trionfatori dell’anno e del Jobs Act: in Campania ne sono stati venduti ben oltre  2 milioni contro 1 milione e poco più dello scorso anno, registrando un +60%, e con questo guadagniamo la medaglia di regione con la crescita più alta.
Quello che dichiaravano come soluzione salvifica contro il lavoro nero è divenuto meramente, grazie alla neo Riforma che ne ha ampliato i margini di fruizione, uno strumento per eludere altre tipologie contrattuali più stabili. Ed i più furbetti ci sguazzano, come spesso accade. Infatti quando ndavo in giro a dire che gli imprenditori – o presunti tali – avrebbero garantito un diritto: quello delle proprie tasche i megafonini del Governo mi davano del folle. Invece si sta spingendo sul celere trapasso dal tempo determinato ai famigerati voucher. Cosa significa? Da diritti precari si passa all’assenza degli stessi.

Non disperiamo però, i difensori del voucher sostengono che “d’accordo, nei voucher non ci sono ferie o malattia, ma almeno si pagano i contributi Inps”.  C’è solo un problemino, davvero irrilevante, direbbero i minimizzatori professionisti:  in media, un lavoratore fruitore di voucher per avere un assegno pensionistico da 673 euro mensili dovrebbe farsi 126 anni di prestazioni a chiamata, a circa 150 anni d’età.

Guardando il livello nazionale, in tutto il paese c’è stato un aumento dei voucher del 40%, in Campania del 60% e mi sento di dire che ormai il quadro è nitido, la tendenza chiara: si va verso il precariato. Ancora. Ai posteri l’ardua tendenza.

Pasquale Incarnato
Responsabile Lavoro GD Napoli

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